Si è svolta, a Camporeale, lo scorso 24 febbraio, con una bella parentesi di sole tra due lunghi giorni di pioggia (finalmente!), l’undicesima edizione di Seminare il futuro! ovvero quella che riteniamo la nostra festa dell’agricoltura. Un corteo di giovani, bambini e adulti si è mosso dalla nostra sede di contrada Fargione per dirigersi verso il campo preparato per la semina. Disposti fianco a fianco per tutto il perimetro del campo, ci siamo incontrati al centro spargendo il seme della Timilìa con l’antico metodo a spaglio, un gesto ancestrale che appartiene all’uomo fin dagli albori della sua storia agricola.
E ci stupisce ogni volta vedere come questo gesto semplice possa portare sempre buonumore e gioia profonda. Perché niente come la semina è promessa di futuro, appunto.
E di futuro si è parlato anche nel seminario “Agroecologia e nuovi OGM siamo a un bivio?” che ha completato le attività della giornata.
Un futuro minacciato a nostro parere ma anche secondo il parere dei relatori presenti**, dal nuovo scenario che si sta aprendo nell’ambito delle manipolazioni genetiche applicate alle piante di cui ci cibiamo, ovvero i nuovi Ogm.
Il 7 febbraio scorso, il parlamento europeo ha approvato la deregolamentazione dei NBT (acronimo di New Breeding Techniques in inglese; ma in italiano Tea, Tecniche di Evoluzione Assistita), che i media chiamano più comprensibilmente i nuovi organismi modificati.
“Già solo questa espressione (evoluzione assistita) dovrebbe farci saltare dalla sedia – esordisce Daniela Conti, biologa ed esperta di genetica molecolare –. Come si fa a far passare il concetto che l’evoluzione, dopo quattro miliardi di anni di vita sulla terra, abbia bisogno dell’assistenza della nuova tecnologia genetica.
Malgrado le rassicurazioni di una parte della comunità scientifica pro ogm, di fatto nessuno conosce gli effetti a medio e lungo termine che questi cambiamenti possono innescare. E piuttosto che usare lo stesso principio di precauzione, come per i precedenti Ogm, il parlamento europeo ha deciso di deregolamentarli, cioè allargare le maglie del controllo che servono a proteggerci da eventuali danni o rischi”.
“Se i nuovi Ogm riusciranno a risolvere qualche problema attuale – continua Daniela Conti – quanti ne creeranno nel tempo? In un colpo solo viene spazzata via la capacità delle piante di adeguarsi all’ambiente, di resistere naturalmente alle avversità, di sopravvivere insomma come specie molto meglio di come sappiamo fare noi animali. E le conseguenze non le conosciamo né noi né chi è a favore di tale manipolazione. Una cosa però la sappiamo bene – conclude Daniela Conti – dopo non si torna indietro. Un organismo modificato cambierà per sempre le generazioni future perché costituisce un inizio biologico, un punto zero da cui tutto poi si moltiplicherà.
Purtroppo sappiamo anche che tutte le voci scientifiche che invitavano alla prudenza e alla ricerca sono rimaste inascoltate. La politica dovrebbe ritrovare il senno che pare aver perso”.
Ma ci sono altri aspetti della questione e Andrea Ferrante non manca di ricordarceli, ovvero quelli del sapere e dei diritti.
Da quando è stato detto al contadino che doveva diventare imprenditore agricolo, gli si è chiesto anche di sostituire tutto il suo sapere e di scambiarlo con un altro sapere molto lontano dal suo campo. Un sapere calato dall’alto e monitorato da un sistema economico che fa i conti tenendo presente l’interesse non del singolo bensì delle multinazionali (ditte sementiere, agrofarmaceutiche o dei distributori di carburanti). L’impresa agricola che doveva portare l’agricoltore a un rango più alto di fatto lo ha reso totalmente dipendente dai giganti che gli forniscono ciò di cui non può più fare a meno.
Viene meno la libertà di un mondo agroproduttivo e viene meno il diritto al cibo, diritto fondamentale per l’umanità, di cui il concetto di sovranità alimentare ne è lo stendardo più alto.
Quando i nuovi ogm verranno brevettati, saranno poche aziende che controlleranno la stragrande produzione mondiale di cibo. Oggi invece il 70% del cibo che viene mangiato a livello mondiale viene prodotto dalla piccola agricoltura, dall’esercito di contadini e contadine che soddisfano il fabbisogno locale. L’agricoltura industriale ha una parte minoritaria. Se le parti si capovolgeranno cambierà totalmente il nostro diritto al cibo.
Con un esordio poetico (citando Virgilio che esprime meraviglia e stupore davanti alla biodiversità che si trova ad osservare), Tommaso La Mantia, apre il suo intervento con una domanda secca: siamo sicuri che stiamo valorizzando tutte le tecniche agronomiche che abbiamo acquisito negli anni, prima di ricorrere alle soluzioni iperboliche quali sono i nuovi ogm? La risposta è netta e inequivocabile: no.
Contro diecimila anni di selezione naturale di specie di piante, e dopo aver deturpato in poco meno di cento anni l’agrosistema con sfruttamenti forsennati, ci troviamo davanti alla Natura (personificazione ideale e leopardiana, per questo usiamo l’iniziale maiuscola), e le diciamo di farsi da parte perché adesso ci pensiamo noi.
“Piuttosto che valorizzare quello che abbiamo già, frutto di una selezione naturale che nei millenni ha migliorato e si è adattata meglio all’ambiente e oggi è capace di resistere alle avversità, si fa l’esatto contrario – ribadisce Tommaso La Mantia –. Si soppianta la biodiversità in nome di una emergenza climatica che può e deve essere affrontata diversamente”.
Partendo dal buon senso, per esempio.
Il docente di Scienze agrarie e forestali dell’università di Palermo porta all’attenzione degli astanti un curioso ma emblematico esempio di come il panorama che si sta delineando davanti ai nostri occhi sia a tratti ridicolo e quasi del tutto insensato.
“È chiaro che piove di meno. Indiscutibile fenomeno che sta affliggendo negli ultimi anni tutti gli agricoltori. Se leggiamo però il Decreto siccità non possiamo fare a meno di notare che vengono prese in considerazione soluzioni così sofisticate e ingegneristicamente avanzate al posto di altre più sensate e più a portata di mano. Come succede per esempio nella zona di Monreale, dove sono presenti tantissime sorgenti che negli anni passati sono state ottimizzate dagli agricoltori deviandone il corso e creando dei bacini di raccolta. Oggi sono in disuso la maggior parte di questi per semplice mancanza di manutenzione ordinaria. Ma c’è di più. Lo stesso decreto mette in guardia che si sono inasprite le pene pecuniarie contro gli agricoltori che usano l’acqua che scorre verso il mare (e quindi non gestita) per alleviare la sofferenza delle proprie piante. Virtuoso sarà colui, che ligio alla direttiva si dovrà rassegnare a vederla scorrere mentre le sue piante muoiono”.
Siamo di fronte a logiche che non comprendiamo se non facendo riferimento a interessi altri che poco hanno a che fare con la salvaguardia della agricoltura del sano accesso al cibo.
Cosa fare dunque? Tanto. E non solo ritrovare l’equilibrio e la fertilità del suolo, ricercare tecniche agricole aggiornate alle nuove esigenze e usare la scienza scevra dalle logiche dei profitti, in una sola parola tutto il mondo che c’è dentro l’agroecologia – conclude Rafael Bueno che ha moderato il dibattito.
Insomma c’è tanto da fare e le sfide che si aprono per difenderci non sono semplici. E per dirla con Massimiliano Solano – agronomo e presidente della cooperativa Valdibella –: “Non vediamo altra strada che quella di riappropriarci del valore del nostro sapere agricolo e metterlo al servizio della comunità tutta. Solo un’alleanza tra agricoltura e liberi cittadini può essere la soluzione, l’uno a supporto dell’altro, nell’ottica di una crescita sinergica e proficua.
* * Daniela Conti, biologa, esperta di genetica molecolare; Andrea Ferrante coordinatore Schola Campesina; Tommaso La Mantia, docente Unipa, dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali. Ha moderato l’incontro Rafael Bueno, ecologo e assegnista di ricerca Unipa.