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“Eravamo sei amici…”

Era un pomeriggio di fine giugno di 25 anni fa quando Fabio Vezzuto, prete dell’ordine dei salesiani, bussò alla porta di casa di Massimiliano Solano e gli chiese se poteva parlargli di un’idea. I salesiani gestivano già da un po’ di anni una comunità di sostegno per ragazzi in difficoltà, immersa nella pineta che fa da chioma al centro abitato di Camporeale, un borgo dell’area del Belìce, area rurale dell’entroterra siciliano che ha dovuto imparare con fatica la strada dell’emancipazione e del riscatto; soprattutto dopo il terremoto del ’68, in cui chi poteva andava via a cercar condizioni migliori, chi rimaneva scommetteva con quel poco che gli restava.
Il progetto era questo: affiancare alla casa d’accoglienza un polo produttivo, in modo da insegnare ai ragazzi ospiti un mestiere e dare vita a una filiera agricola completa.
Prima di quel pomeriggio, Massimiliano, i due Pietro, Gioacchino e Filippo e Luigi gestivano le terre di famiglia vendendo tutta la produzione su canali convenzionali che poco margine (e rispetto) lasciavano all’agricoltore.
E così senza un bussines plan, né tanto meno consulenze di sorta, con un po’ di ingenuità ma tanta buona volontà i cinque ragazzi diedero vita alla cooperativa Valdibella.
Oggi, Massimiliano, i Pietro, Gioacchino, Filippo e Luigi – con qualche capello bianco in più – raccontano l’esordio della cooperativa, circondati da vecchie fotografie e rievocando alla mente volti e nomi…

Massimiliano, qual è stata la prima cosa che hai pensato quando don Fabio Vezzuto ti ha chiesto di partecipare al progetto della cantina?
«Che l’occasione era arrivata finalmente. Da mesi riflettevo sulla possibilità di fare rete con altri agricoltori per costruire una realtà economica dove al centro ci fosse la qualità del prodotto – che in quegli anni si traduceva essenzialmente con il biologico – e il rispetto dell’agricoltore. Avevamo fatto dei tentativi poco prima ma erano falliti. Cominciava a insinuarsi in me la frustrazione che forse cambiare non era poi così facile».

E poi?
«E poi arriva la richiesta di sodalizio con i salesiani. Concreta e fattiva: non ci rimaneva che rimboccarci le maniche».

L’area, in fase di edificazione, dove oggi sorge lo stabilimento di trasformazione e lo shop, in contrada Fargione. Pietro e Massimiliano e un’ombra non meglio identificata che scatta la foto.
Prima della costruzione: dietro la serra si intravede un edificio in muratura. Su quella particella è stata costruita l’attuale cantina

Ma facciamo un passo indietro: quale fu la scintilla che scattò in te per mettere in atto quella che possiamo considerare una vera e propria rivoluzione rispetto a metodi e pratiche agricole che si erano perpetuati per secoli in questa zona della Sicilia?
«C’è un aneddoto che racconto spesso e tra i tanti mi pare ancora oggi il più significativo: avevo dieci anni ed era l’estate del ’76. Mio padre e mio zio erano pienamente soddisfatti del raccolto di meloni gialli. Un’annata abbondante e di buona qualità, il massimo per un agricoltore. Al momento di vendere venne l’intermediario che avrebbe comprato l’intero raccolto per poi smistarlo altrove. Esaminò i meloni e senza pensarci due volte gettò dal camion quelli che per lui erano troppo piccoli o troppo grandi. I meloni di ottima qualità si frantumavano al suolo insieme alle aspettative di mio padre, solo perché non rispondevano ai criteri imposti da un mercato superficiale e completamente slegato dal mondo contadino. Presi dall’ira, i miei lo cacciarono via ma senza alternative, né tanto meno un magazzino di stoccaggio e si resero presto conto che i frutti sarebbero marciti presto sotto il sole estivo. Fecero sbollentare la prima rabbia e furono costretti a chiamarlo di nuovo e a quel punto dovettero subire interamente il sopruso, aggravato anche dal prezzo più basso. Anche se ancora troppo giovane, subì anch’io quell’umiliazione e da quel giorno decisi che da grande avrei fatto in modo di non vedere più quella scena».

E infatti…
«Infatti appena fresco di laurea in agraria, con alcuni amici, nel 1993, decidemmo di fare un viaggio alla scoperta di alcune realtà cooperative italiane. Prima tappa nel catanese, da Agrinova Bio, una cooperativa appena costituita che operava in biologico. Proseguimmo verso nord, con tappa nelle Marche per conoscere Gino Girolomoni, pioniere del biologico in Italia. Gino ci incoraggiò molto. Ci consegnò lo statuto della sua cooperativa in modo da prenderne spunto e con il suo innato carisma seminò dentro di noi la consapevolezza del necessario cambiamento. Tornammo così a Camporeale determinati e carichi di buona energia. Dentro di me si delineò ancora più chiaramente la strada giusta da percorrere».

Gioacchino Accardo

Gioacchino, fu nel tuo campo il primo raccolto della cooperativa giusto?
«Sì, e anche la prima produzione in biologico di Camporeale. Duecento quintali di grano Simeto, una varietà di grano duro. Ricordo un’annata particolarmente ricca, colore e grandezza del chicco entusiasmanti. Caricammo il camion e lo portammo proprio all’azienda di Girolomoni che fu, di fatto, il primo acquirente della cooperativa. Ci sentivamo dei pionieri… Anche se all’assessorato agricoltura, quando andammo per farci certificare il biologico, venimmo accolti da un funzionario che non ebbe pudore a usare un tono canzonatorio e a dubitare della veridicità delle nostre intenzioni…».

Si dice che le derisioni siano di buon auspicio, se non altro perché vengono prese come vere e proprie sfide a smentirle. Pietro Vaccaro, tu che allora eri il più giovane della compagine, appena 24 anni, qual è stato il momento in cui ti sei sentito pienamente gratificato?
«È stato un momento qualsiasi in un giorno qualsiasi ma per me è stato speciale. Avevamo ripristinato da poco le macchine, dopo un anno di lavoro intenso. Per la prima produzione ci siamo concentrati sulla crema di mandorle. Nessuno intorno a me sembrava rendersi pienamente conto dell’enorme passo avanti che avevamo fatto. O forse sì ma non lo davano a vedere. All’improvviso sentì la mia collega Nicoletta fischiettare proprio quando il primo vasetto si riempiva. Un nodo di commozione mi salì in gola e dissi tra me “Ce l’abbiamo fatta!”. Seguirono altri momenti in cui l’entusiasmo di squadra si esprimeva con applausi, abbracci ed esternazioni festose. Ma quel momento di quasi silenzio e forse inconsapevolezza me lo porto dentro come uno dei ricordi più cari».

Pietro Vaccaro che tiene in mano un vasetto di crema di mandorle

Pietro Scardino, dunque la cantina. La prima uva che è diventata un vino Valdibella è stata raccolta dalla tua vigna, giusto?
«Sì, il Cabernet in contrada Fargione, poco fuori il paese di Camporeale. Allora era ancora prematura l’idea del vitigno autoctono e del valore che ne scaturiva dalla sua tutela e produzione. Eravamo così presi a gestire una cooperativa per la prima volta che avevamo un po’ troppe idee e confuse. Tra burocrazia e spese da sostenere certi giorni eravamo più scoraggiati che coraggiosi. E in quel frangente di faticose prodezze arrivò una notizia che ci lasciò sbalorditi: avevamo vinto un premio enologico in un concorso indetto a Vicenza. Con il nostro Regalis. La prima vinificazione ed era già piaciuta! Pensammo subito che doveva trattarsi di un errore. E invece no. Ci invitavano a ritirare il premio proprio a Vicenza, a 1.500 chilometri di distanza. Andò Gioacchino, perché da ex dipendente delle Ferrovie era l’unico a viaggiare in treno gratuitamente».

Oggi la cooperativa è composta da una cinquantina di persone, tra soci agricoltori e soci dipendenti, dimostrando, in questi anni trascorsi, una curva di crescita incredibile. Donne e uomini che hanno contribuito, e stanno contribuendo, a costruire scenari di benessere a stretta e necessaria interconnessione con tutto quello che ci gira intorno. È necessario raccogliere le forze, le idee e le sfide: perché altri venticinque anni e poi ancora altri e altri ancora, aspettano Valdibella.

Questo articolo ha 6 commenti

  1. Questa vostra storia così emozionante mi ha scaldato il cuore. Tanti complimenti a voi e ai vostri eccezionali prodotti

  2. Abbiamo” incrociato “Valdibella partendo dalla ricerca del latte di mandorle, oramai da parecchi anni. Dopo il contatto diretto con la vostra cooperativa per acquistare il latte, siamo passati alla salsa di pomodoro, olio, vino, pasta, mandorle, ecc, praticamente tutto. La soddisfazione per i prodotti è totale. Ora che conosciamo anche la Vostra storia si è aggiunta la gratitudine per tutto ciò che avete fatto e fate e per come lo fate. Grazie

  3. Io vi ho conosciuti 23 anni dopo i fatti raccontati e non posso non condividere con voi l’orgoglio di quanto in questi anni siete riusciti a fare. In questi due anni, per me, avete dimostrato non solo la purezza dell’ideale iniziale, ma anche la capacità di mantenerla nonostante i successi raggiunti anno dopo anno.
    Vi sia dato onore: siete rimasti gli animi puri di allora!
    GRAZIE !!!

  4. Oggi per me un bellissimo giorno, pieno di ricordi ed emozioni. Sicuramente stasera non avrò la forza di parlare in pubblico. Volevo solo ringraziare tutti, soci , colleghi di lavoro, produttori, clienti, fornitori e simpatizzanti. Tutti tasselli fondamentali della nostra cooperativa.
    Grazie a tutti per quello che abbiamo fatto, e per quello che faremo.

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