Corsi e ricorsi storici: dalle origini a oggi un progetto agricolo
Era l’estate del 1642 quando un gruppo di gesuiti diede vita all’attuale comunità di Camporeale istituendo una fiorente azienda agricola
Il territorio di Camporeale ebbe il suo sviluppo intorno a una piccola comunità di gesuiti, che nell’estate del 1642, giunse in contrada Valdibella, nei pressi dell’attuale centro abitato. Erano soltanto sette all’inizio ma animati da uno straordinario entusiasmo, perché vedevano che la fede diventava novità nella vita concreta e spinta verso intelligenti e innovative costruzioni. Alle spalle avevano la prestigiosa Università Gregoriana, dalla quale traevano la loro visione globale della realtà: «Il bene quanto più è universale, tanto più è divino», si legge nella loro Costituzione approvata appena 20 anni prima.
Così, di stagione in stagione, quei fratelli e i loro successori organizzarono un’azienda agricola di straordinaria efficienza, instaurando nuovi rapporti di lavoro con i contadini,
sperimentando tecniche di coltivazione e introducendo sementi e varietà arboree.
Grande importanza attribuivano alla coltivazione dei vigneti come dimostrano le tante spese annotate nei loro libri contabili, per pagare innestatori che facevano venire da molto lontano.
Il vino che producevano era destinato alle loro case sparse nel mondo e alle tavole più illustri. Amavano l’arte e la ricerca ed erano amati dal popolo che aiutavano a crescere secondo la sua naturale indole laboriosa e attaccata alla terra e alla famiglia.
Nell’inverno del 1767, però, un Regio Decreto ne ordinò l’espulsione dal Regno delle Due Sicilie, un funzionario inventariò i beni confiscati e oltre a cantine, botti e stringitoi per l’uva, annotò quattro vigneti con complessivi 108.180 vigne.
I fratelli della Compagnia di Gesù lasciarono, dopo 125 anni, un imponente baglio (ancora oggi cuore pulsante di Camporeale), ricco di attrezzature, provviste e raffinate opere d’arte ma soprattutto un fertilissimo territorio del quale avevano scoperto la vocazione.
Negli anni a seguire una sempre crescente visione politica, logiche di controllo e potere hanno di fatto sottratto risorse vitali al territorio, fino a svilire del tutto la cultura agricola che finì per essere considerata quasi esclusivamente fonte di sfruttamento e massimizzazione dei profitti.
A partire dagli anni ’50, infatti, sono entrati in scena metodi di lavoro che hanno stravolto l’ecosistema agricolo: la biodiversità si è ridotta sempre di più, i suoli si sono impoveriti e molti hanno lasciato le campagne, tagliando il legame storico con la terra.
Era necessaria una inversione di rotta, in questo caso nella storia. Abbiamo raccolto l’eredità di quegli uomini semplici che hanno creduto nelle risorse del nostro territorio e hanno saputo lasciarci un patrimonio culturale di inestimabile valore.