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In principio c’è il seme

Per fare un tavolo ci vuole… un fiore cantavano i bambini di un tempo. E per fare un orto? Un seme naturalmente! A patto che non siano semi ibridi seppur biologici. Ma se tutto ciò può sembrarvi ovvio, sappiate che non lo è affatto.
Perché da quest’anno e in fase sperimentale, in un’estensione di circa un ettaro, tra un campo di Margherito (il grano duro di cui vi abbiamo parlato quie una vigna, realizzeremo un orto partendo dai semi.
Tutto è iniziato dal fecondo incontro tra noi e l’associazione Aterraterra che da qualche anno non si accontenta più di piantare piantine acquistate dai vivai e delle varietà più comuni ma cerca, seleziona e scambia semi. Semi di varietà più rare, o semplicemente esclusi dal mercato perché poco “vendibili” o addirittura che vengono da parti lontanissime del globo.

Per millenni gli agricoltori hanno selezionato il raccolto migliore per conservarne i semi e perpetuare così una coltivazione migliorativa della varietà. Oggi questo enorme bagaglio culturale si è quasi del tutto perso. Non ci riflettiamo abbastanza, ma sottrarre all’agricoltore quella sovranità alimentare che gli è appartenuta da sempre non è solo uno svilimento della sua vocazione, ma anche un impoverimento sostanziale della biodiversità che alla fine del cerchio si traduce anche in un impoverimento alimentare e nutritivo. Eppure è un problema che pochi si pongono. È come se ormai si fosse accettato più o meno passivamente che il principio primo della riproduzione biologica, cioè il seme, venga gestito da multinazionali che dirottano le scelte alimentari verso direzioni spesso autoreferenziali o non del tutto condivisibili.

“Iniziamo questo percorso o meglio, riprendiamo da dove l’agricoltura l’aveva lasciato, insieme agli amici di Aterraterra, Fabio Aranzulla e Luca Cinquemani con i quali condividiamo la stessa visione – esordisce Massimiliano Solano – presidente della nostra cooperativa. Siamo consapevoli che il terreno perso è tanto e recuperarlo non sarà facile. Perché si è sottratta all’agricoltore la facoltà di potere selezionare in campo il proprio seme, valutarne le caratteristiche, analizzarne i diversi aspetti della coltura e infine scambiarlo con altri agricoltori. Comprando le piantine già pronte e provenienti totalmente dalla ibridazione delle sementi, l’agricoltore ha dimenticato le pratiche di riproduzione ma, soprattutto, ha dimenticato la libertà di gestire il proprio seme. Così il suo ruolo si limita a una più semplice esecuzione di scelte che seguono logiche commerciali e omologanti”.

Semi antichi, semi riproducibili
“La biodiversità mediterranea offre una vasta possibilità di frutti e ortaggi. Quello invece che possiamo coltivare acquistando le piantine già pronte non è che la minima parte – afferma Luca Cinquemani – e a un certo punto abbiamo capito che volevamo andare più a fondo. Così abbiamo avviato una ricerca che ci ha portato oggi a produrre i nostri semi. Partiamo da semi bio, escludiamo tutti gli ibridi che, anche se provengono da una filiera biologica, hanno una genetica molto indebolita, che comporta il fatto che ogni anno è necessario ricomprare la piantina. Invece con i semi non ibridati c’è un patrimonio genetico intatto e inespresso, oltre che variegato”.

“Inoltre questo orto sarà anche un luogo dove si praticheranno metodi di mantenimento delle varietà di stagione in stagione – continua Fabio Aranzulla – attraverso la riproduzione autonoma dei semi: impollinazione manuale, isolamento delle varietà e conservazione dei semi, e ovviamente la coltivazione seguirà i principi dell’agroecologia. Il progetto è abbastanza complesso e non siamo certo noi i primi ad attuarlo. Ma è anche ambizioso perché l’obiettivo è di produrre ortaggi in quantità adeguata alla produzione dei prodotti in barattolo della cooperativa. Avendo già una destinazione certa, sarà più facile, oltre che più stimolante, lavorare al progetto”.

In fase di progettazione, quindi, si è deciso di dividere il campo in quattro sezioni: la prima quella del peperoncino con tre varietà: Kusburnu, Red Gunda e Aciburun; seguirà la parte destinata ai peperoni con le varietà Maor, Violetta e Quadrato d’Asti; poi ancora le zucche antiche tra le quali Moscata di Provenza, Jack Be Little, Queensland Blue e Sweet Dumpling e infine una parte sperimentale per la creazione di nuove varietà.

L’orto, nel lungo periodo, dunque, sarà anche un luogo di sperimentazione sulle comunità evolutive di ortaggi, sulla creazione, attraverso incroci manuali e selezioni, di nuove varietà e infine, ma non per questo il meno importante, anche un luogo di scambio e confronto tra diversi agricoltori che vorranno ritornare a emanciparsi dalle grandi compagnie che producono e forniscono piantine di ortaggi.

La stagione che già si preannuncia calda e assolata, la terra opportunamente curata compiranno il lavoro iniziato. Vi aggiorneremo sugli sviluppi.

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