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Food Forest: ovvero la foresta che si mangia

La Food forest è una foresta commestibile, un sistema agroforestale, cioè, nel quale diverse specie di piante (perenni e non) convivono, ognuno con il preciso ruolo di produrre cibo o concorrere a rendere l’ambiente in equilibrio.

Quando siamo andati a visitare la cooperativa Noe a Partinico, in provincia di Palermo – che gestisce un bene fondiario confiscato alla mafia –, abbiamo ragionato sulle possibilità di rilanciare quest’area agricola che ha una superficie di circa 5.2 ettari e un aspetto collinare senza forti pendenze, con esposizione est-nord est.
Ma ci siamo subito scontrati con alcune difficoltà sostanziali: la considerevole vastità dell’area e il conseguente e significativo investimento economico, che da soli non avremmo potuto sostenere.
Ecco che si è presentata l’occasione, dunque, per mettere in atto un’idea che ci frullava in testa da tempo: creare un sistema agroforestale capace di produrre cibo ma allo stesso tempo in grado di coinvolgere i consumatori attraverso un sistema virtuoso di sinergie.  Abbiamo lavorato per mesi al progetto, facendo rilievi, sopralluoghi, valutando le colture e le caratteristiche dell’intera area, e soprattutto non perdendo mai di vista il fine ultimo: promuovere una produzione agricola sostenibile e concreta.
I primi partner ai quali abbiamo pensato sono stati i nostri amici svizzeri di Crowd Container (la cui storia l’abbiamo raccontata qui). Loro hanno sviluppato un sistema semplice, ma estremamente efficace, per istituire una corrispondenza diretta tra chi acquista e chi produce cibo. Grazie a loro, infatti, oggi e fino al 19 novembre è attiva una raccolta fondi che prevede il raggiungimento di 60mila franchi, che serviranno per avviare i lavori (potete vedere la campagna di crowdfunding qui).

Dunque, ci siamo buttati a capofitto in un progetto che, seguendo dettami della agroecologia, prevede la piantumazione di circa 1500 alberi (tra cui olivi, frassini da manna, avocadi, agrumi, noci), una area orticola, un biolago per la gestione delle acque reflue fitodepurate, un’area di compostaggio e un’altra per attività di formazione e convivialità. Inoltre, siepi con la duplice funzione di frangivento e protezione incendi e un giardino mediterraneo con specie tipiche per aumentare la biodiversità e offrire anche la possibilità di raccogliere frutti destinati alla trasformazione, come anche risorse alimentari per le api, tra i quali querce, corbezzoli, rosa canina, mirto, ginestra e biancospino.

Ecco quindi che insieme alle prime piante messe a dimora, abbiamo piantato anche l’entusiasmo e l’energia che derivano da ogni cosa che sa di buono.
Perché oltre all’aspetto prettamente agricolo ci sono in ballo diversi risvolti altrettanto importanti: quello paesaggistico che scaturisce dal ripristino e dalla creazione di ambienti variegati tra specie legnose arboree che rende il sistema più resistente ai cambiamenti climatici e al crescente rischio di desertificazione; a quello sociale, perché il progetto prevede la collaborazione lavorativa di persone svantaggiate. Ma anche l’aspetto ecologico nel senso più ampio: considerate che in America Latina la coltivazione di frutti tropicali destinati ai mercati europei costituisce una enorme impatto sull’ambiente. Incrementando la produzione anche dalle nostre parti, avremo la possibilità di allentare, fosse anche in minima parte, tale pressione.
In ultimo, forse l’aspetto che più di tutti ci sta a cuore; quello cioè di creare una filiera agricola etica e indipendente dalle logiche dei grandi mercati. Ogni anno insieme ai partner decideremo cosa e quanto produrre, evitando così sprechi e ottimizzando al meglio gli ordini con i pre-acquisti. Il consumatore così come il produttore avrà un ruolo primario e sarà coinvolto nelle diverse decisioni.

Se ci riflettiamo meglio, un modello così pensato più che essere innovativo o come si dice spesso “una nuova frontiera del cibo” in realtà riporta l’agricoltura al suo ruolo originario, quello cioè di garantire prodotti genuini e sostenibili alla comunità di riferimento senza essere soverchiata da logiche estranee e avvilenti.
Abbiamo bisogno di idee nuove diceva qualcuno, a noi basta ripristinare le migliori del passato.

Foto di Michael Calabrò

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