Pubblichiamo, cercando di trascriverlo come meglio è possibile, l’intervento che si è tenuto sabato 4 marzo, in occasione e all’interno dell’iniziativa Seminare il futuro! presso la nostra sede a Camporeale. Dopo la semina, infatti, abbiamo parlato di un tema che ci è sembrato ancora abbastanza attuale I giovani e l’agricoltura contadina di oggi insieme a Elena Cassisi e Piero Consentino.
«Il mondo contadino, dopo circa quattordicimila anni di vita, è finito praticamente di colpo». Così scriveva Pasolini in Scritti corsari nel 1975. Certo, difficile dare torto a Pasolini, che dalla finestra della sua epoca vedeva un declino ineluttabile della società nella quale era cresciuto. Tuttavia, se oggi continuiamo a parlare proprio di quel mondo è segno che evidentemente che non è finito, anzi.
Ma non ne parliamo a cuor leggero. E per almeno due motivi: il primo è che si rischia con estrema facilità di scivolare nella retorica semplicistica di chi vede nell’agricoltura contadina solo un ideale di bellezza, di armonia e di mondo incantato. Il secondo è perché fin da subito dovremo scardinare il preconcetto (e sappiamo quanto sono duri a morire i preconcetti) che fare il contadino sia un lavoro umile, povero che non richiede cultura ma soltanto fatica fisica e poco pensiero.
Quante volte abbiamo sentito parlare professionisti in giacca e cravatta vantare le loro radici contadine, ostentando una fierezza ipocrita perché nel preciso instante in cui citano i loro nonni contadini sottointendono anche Vedete? Io però ce l’ho fatta.. mi sono emancipato…
Del resto il famoso detto Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere la dice lunga sulla considerazione che per secoli è gravata sulle spalle degli agricoltori.
Una categoria sociale lasciata ai margini, considerata abbastanza grossolana per avere voce in capitolo, e per questo tenuta lontana dalle scelte decisive. Del resto parole come villano o bifolco prima di assumere un’accezione dispregiativa erano semplicemente sinonimi di contadino.
E per avere un quadro più chiaro non fa male ricordare l’origine della parola conta-dino. È colui che abitava il contado, cioè il territorio fuori dalla città, in opposizione a colui che abitava la città, ovvero il citta-dino. E da che mondo è mondo i luoghi del potere sono sempre stati le città, dove chi dettava legge, chi faceva il buono e il cattivo tempo non si curava affatto dei bisogni reali delle classi sociali considerate più marginali. Da questo punto di vista non è cambiato poi molto se consideriamo che le politiche agricole non vengono mai discusse vicino ai diretti interessati ma lontano, e non solo geograficamente.
Alla luce di questo scenario ovvio che chi poteva cercava di fuggire al più presto possibile dalla campagna, o meglio ancora faceva fuggire i propri figli. Impossibilitati com’erano a riprendersi il ruolo che gli spettava di diritto. E la fatica fisica certo non incoraggiava la riflessione.
Oggi, negli ultimi decenni siamo davanti a un cambiamento? Se ne parla e se ne continua a parlare tanto: giovani che tornano alla terra, dopo aver fatto giri larghi, spesso vittime della crisi finanziaria scoppiata qualche anno fa, o più semplicemente alla ricerca di un significato più profondo dell’esistenza. Insomma davanti al bivio della crisi, molti hanno scelto di ritornare verso la strada di “casa”.
E così è stato anche per Elena e Piero, ai quali abbiamo chiesto di raccontarci i loro “giri larghi”.
Ma prima, vale la pena ricordare qualche numero che conferma che in effetti un cambiamento è in atto: secondo la Coldiretti, che si basa sulle nuove iscrizioni al registro delle imprese di Unionecamere, nel 2020 si registra un aumento del 14% del numero di giovani imprenditori in agricoltura, rispetto a cinque anni prima. Con questo rialzo l’Italia si attesta come primo paese in Europa ad avere il maggior numero di imprese giovanili in ambito agricolo con un record di 55mila in un insieme di 410mila imprese agricole.
È probabile che questa impennata derivi anche dalla crisi sanitaria che abbiamo appena lasciato e che ha alzato notevolmente i consumi dei cibi sani e di qualità. È probabile invece che effettivamente stiamo assistendo a una svolta epocale. Se così è dobbiamo affrontarla al meglio: prima di ogni cosa è il caso di rivedere la nostra idea di contadino oggi e da lì ripartire per assegnare il giusto valore al cibo di qualità.
Elena Cassisi ha 26 anni e un’azienda agricola acquisita dal padre tre anni fa a Mazzarone, in provincia di Catania, dove produce uva da tavola e pesche. Quando si è accorta che i suoi studi (laurea in antropologia) e i suoi interessi convergevano tutti verso la produzione agricola ha deciso di smettere di girarci intorno e ha rilevato una porzione di azienda di suo padre, che gestisce in totale autonomia. Ha una personalità forte e un’energia straordinaria, Elena. Qualità che le hanno permesso di tenere duro anche quando gli incubi peggiori (burocrazia, parassiti e mancanza d’acqua) le si palesavano giorno e notte. Ma ha saputo guardare oltre e per prima cosa ha cercato interlocutori commerciali attendibili che potessero valorizzare il suo lavoro e i suoi prodotti. La sua rivoluzione è appena cominciata ma sappiamo già che la porterà lontano perché è difficile arrestare un fiume in piena.
Piero Consentino, invece, di anni ne ha 35 e la sua azienda agricola, in provincia di Enna, si chiama Convegno di Marte. Dispone di 59 ettari prevalentemente seminativi, un mandorleto da poco impiantato e 5 ettari riforestati con piante mediterranee. Sta realizzando un mulino pastificio per la trasformazione di cereali e legumi.
Ha ripreso l’azienda del nonno, spinto dal legame per i luoghi della sua infanzia e dal desiderio di non disperdere il sapere ereditato, dopo una laurea in filosofia e storia e diverse esperienze in giro per il mondo. Vivere e lavorare con la terra, i semi e le piante ha significato per lui potersi riconnettere ai cicli e i ritmi naturali, accettando le avversità e imparando a gioire della straordinaria abbondanza e diversità che ci circonda. Piero si ispira all’ecologia sociale e alle etiche della permacultura: cura della terra, cura delle persone e condivisione delle risorse. L’agire comunitario e mutualistico sono quindi parte essenziale della sua visione e per questo si impegna creativamente nel rigenerare e inventare nuovi riti e feste, tanto importanti per le civiltà contadine del passato. L’obiettivo è quello di poter contribuire a un riequilibrio del paesaggio e dell’ambiente che condividiamo con gli altri viventi, imparando a valorizzare le possibilità che ne derivano.
Da meno di un anno collabora con Valdibella per la coltivazione e trasformazione del farro monococco. L’incontro con la nostra cooperativa ha ridato slancio e motivazione al suo progetto, e fiducia in una visione equa che dà pari considerazione alla terra e alle persone.